Per capire le novità che da quest’anno le aziende potranno mettere in campo in materia di Welfare aziendale e soprattutto se questo è a portata anche delle piccole e piccolissime imprese, come Confartigianato ci siamo rivolti ad uno dei massimi esperti in materia: Maurizio Ferrera (in foto), professore di Scienze politiche all’Università degli Studi di Milano, editorialista del Corriere della Sera e curatore dei due Rapporti sul cosiddetto Secondo Welfare per il Centro di Ricerca e documentazione Luigi Einaudi di Torino.

Professor Ferrera, cosa introduce la legge di Stabilità 2016 in materia di Welfare aziendale? «Le novità previste dalla Legge di Stabilità 2016 sono essenzialmente due. Da un lato, una nuova disciplina del premio di risultato che torna ad essere fiscalmente agevolato e, anzi, gode di ulteriori agevolazioni se erogato in beni e servizi di welfare anziché in denaro. Dall’altro, la legge modifica e aggiorna la normativa che disciplina il trattamento fiscale del welfare rispondendo finalmente alle richieste dei numerosi esperti che da anni ormai auspicavano una riforma degli articoli del TUIR (il Testo Unico sulle Imposte dei Redditi ndr.) per renderli più in linea con le nuove esigenze delle aziende e dei collaboratori».

Ovvero? «Ciò che cambia è l’introduzione di un chiaro incentivo al coinvolgimento delle parti sindacali e un ampliamento dei servizi considerati come welfare. Il welfare negoziale sarà più ‘conveniente’ di quello unilaterale (previsto sin qui nel TUIR ndr.), e sarà possibile offrire ai lavoratori nuovi servizi, come ad esempio il rimborso delle spese per la mensa scolastica e i servizi a sostegno dei familiari non autosufficienti».

Si dice che il Welfare aziendale non sia a portata di Pmi e Mpi. A suo avviso le novità previste dal governo faciliteranno anche loro? «Ritengo che la possibilità di utilizzare le risorse del premio di risultato sia un’ottima occasione per introdurre il Welfare anche in realtà meno strutturate e ‘ricche’ rispetto alle grandi multinazionali. E non dimentichiamo che le modifiche al TUIR prevedono anche la possibilità di utilizzare i voucher per l’erogazione dei servizi, facilitando così quanti non avrebbero le forze di costruire un proprio sistema di benefit e convenzioni interno».

Quali tipi di benefit, precedentemente esclusi dal legislatore, potranno ora essere erogati ai dipendenti? «I servizi nuovi sono la scuola materna e i servizi integrativi alla scuola – come ad esempio la mensa – e quelli relativi all’assistenza agli anziani (prima non contemplati nel TUIR ndr.). I servizi già previsti dall’articolo 100 del TUIR non sono invece nuovi ma fiscalmente agevolati qualora siano inseriti in un accordo o regolamento aziendale. Questo, come detto, è destinato ad incentivare il ricorso alla contrattazione.

Quale ruolo giocheranno i sindacati nella nuova impostazione decisa dal governo in materia di Welfare aziendale? «Sicuramente per i sindacati si apre un’importante opportunità di partecipare attivamente alla definizione dei benefit per via contrattuale, grazie alla modifica del TUIR e anche attraverso la nuova possibilità di erogare il premio di risultato in welfare».

E quale invece quello degli enti bilaterali? «Anche gli enti bilaterali – come le Pmi – potranno fare ricorso allo strumento del voucher servizi e ampliare così l’offerta di benefit ai propri iscritti. Si aprono inoltre nuove opportunità per occuparsi di aree di intervento (in particolare servizi per l’infanzia e per anziani non autosufficienti) che oggi sono ancora troppo poco coperti attraverso i fondi bilaterali».

In che modo le piccole imprese e il mondo assicurativo potrebbero interagire per sviluppare piani di secondo welfare? «Il mondo assicurativo (ma anche le società di mutuo soccorso) dovrebbero ripensare i pacchetti di servizi in ambito sanitario e socio-sanitario (con particolare riferimento all’area della non autosufficienza) per facilitare lo sviluppo del welfare aziendale anche tra le Pmi.   E dovrebbero contribuire a promuovere un maggior coinvolgimento degli stakeholder attivi sui territori per ampliare l’offerta di servizi e prestazioni in grado di rispondere ai nuovi bisogni sociali».

Il Jobs Act ha allargato la platea dei lavoratori contrattualizzati, questo avvantaggia oppure no il percorso verso un pieno sviluppo del secondo welfare anche in Italia? «Non abbiamo ancora dati al riguardo ma possiamo cogliere qui delle potenzialità significative. Come abbiamo visto la recente Legge di Stabilità è destinata a favorire un più ampio ricorso alla contrattazione in materia di welfare. Questo se le organizzazioni sindacali sapranno cogliere la possibilità di tutelare maggiormente i lavoratori e le lavoratrici anche grazie a misure e politiche di welfare aziendale e contrattuale».

Nel rapporto 2015 sul Secondo Welfare si ribadisce la necessità di creare Reti per implementare piani di Welfare aziendale a misure di piccole imprese con un coinvolgimento forte anche delle associazioni di categoria. Quali esempi l’hanno convinta sul territorio nazionale? «I casi di reti d’impresa nate con l’obiettivo di fornire servizi di welfare sono sempre più numerosi. Per citare alcuni esempi, Welfare-RE a Reggio Emilia e WelfareNet in Veneto e recentissimo il progetto Moltiplica che a Padova mette in rete il mondo delle cooperative sociali per condividere servizi di welfare. Nascono però anche esperienze innovative che coinvolgono una varietà di attori – pubblici e privati – nello studio e nell’implementazione di servizi di welfare sui territori che non riguardano lo strumento della rete di impresa. Basti pensare al Patto per lo Sviluppo firmato a Treviso dalle organizzazioni sindacali e Unindustria, o alle iniziative nate su tutto il territorio lombardo nell’ambito delle Reti Territoriali di Conciliazione promosse da Regione Lombardia»