Sinceramente rimaniamo sconcertati quando, su quelli che saranno gli effetti del federalismo municipale, leggiamo calcoli diametralmente opposti, a seconda che provengano da questa o da quella parte politica. Se la traduzione in cifre del decreto si presta a deduzioni così discordanti, ci chiediamo quanto possa essere confuso il testo che sta a monte. Così la dirigenza di Confartigianato Taranto esprime tutta la perplessità dell’Associazione tarantina per come si sta materializzando un passaggio di assetto istituzionale nel quale le piccole imprese ripongono non poche aspettative.
Per i nostri artigiani il senso del federalismo sta nel garantire maggiore responsabilità delle nostre amministrazioni pubbliche, migliori servizi, meno sprechi, eliminazione delle sovrapposizioni tra livelli di governo e dell'oppressione burocratica, recuperi in efficienza e conseguenti risparmi destinati a ridurre la pressione fiscale. Ma non ci siamo se per esempio l'Imu, la preannunciata imposta municipale che sostituirà l'Ici, dovesse aumentare per le imprese.
Secondo gli artigiani, perciò, il rischio di un innalzamento della pressione fiscale sulle aziende - attraverso la tassazione degli immobili produttivi - esiste, in contraddizione con le promesse di un federalismo che divenga occasione per ridurre il carico tributario sulle attività economiche.
Noi siamo per la responsabilità e la chiarezza, non vogliamo assolutamente continuare a brancolare nel dubbio sulla possibilità che, in soldoni, si limiti soltanto a decentrare i costi e spingere i Comuni ad aumentare le imposte per compensare le minori entrate.
Secondo i calcoli di Confartigianato nazionale, il passaggio dall'attuale aliquota ICI, pari in media al 6,49 per mille, alla nuova IMU con aliquota base del 7,6 per mille (che, però, grazie all'autonomia concessa ai Comuni, potrebbe essere incrementata sino al 10,6 per mille) comporterebbe, in tal caso, un aggravio fiscale sugli immobili strumentali posseduti dalle imprese pari a circa 3 miliardi di euro.
Qualora fosse confermato questo meccanismo, sarebbe un pesante aumento per il sistema delle imprese, già gravato da una pressione fiscale più elevata rispetto alla media europea.

Dalle stime emerge che, considerando tutti gli immobili adibiti ad attività produttiva (uffici, negozi e botteghe, magazzini, laboratori per arti e mestieri, opifici, alberghi e pensioni, teatri, fabbricati industriali e commerciali), l'incremento dell'imposizione ad aliquota del 7,6 per mille sarebbe pari a 812 milioni di euro. A livello di singola impresa, inoltre, l'aggravio di imposizione rischierebbe di superare alcune migliaia di euro annue in base al Comune nel quale è collocata l'impresa stessa.
Il federalismo fiscale che vogliamo è invece quello che favorisce la progressiva riduzione della spesa pubblica locale improduttiva e che determina un meccanismo virtuoso in grado di abbassare la pressione fiscale sulle aziende. E' quello in cui i Comuni, nell'ambito della propria autonomia tributaria, riducano - come permette la norma - l'aliquota base dello 0,3%. In tal modo le imprese godrebbero di un risparmio d'imposta pari a 1,4 miliardi di euro. Per evitare che questo rimanga nel libro dei sogni invitiamo con fiducia i nostri politici e parlamentari a spiegarci meglio non solo gli obiettivi ma anche gli effetti reali di questo Federalismo municipale sul nostro territorio così disastrato in termini di risorse pubbliche ed efficienza della macchina amministratriva nel complesso.